Le 5 Sale del Museo

Quando muore un Millennio e quello nuovo si affaccia, uno spirito aperto e sensibile si dondola su varie inquietudini, e tra nostalgie ed aspettative medita possibili metamorfosi. Ma ognuno ha la sua particolare situazione: è arduo realizzare quel nuovo che si vorrebbe. Perché le cose da fare o disfare sono tante, varie e proprio tutte belle. Una vita sola certo non basta, e neppure due o tre. Quindi… per non privilegiare o mortificare nessuna intenzione, l’operazione Artistica si è dipanata (in questa ricerca del primo decennio del millennio) in un campo che le racchiude tutte: la PUREZZA!

Nelle Arti Visive l’astrazione parrebbe una decisa fuga da quello che l’occhio vede; credo, invece, sia a dir poco stimolante per aprire, senza preconcetti o miopie, spazi nuovi e puri, accentuare e approfondire quell’antico richiamo del cuore che ognuno sente. Quasi un azzeramento dell’ARTE per ripartire dal qui e ora, con rinnovate emozioni scaturite dal travaglio di epocali cambiamenti dell’oggi, per rigenerare l’Arte… e perché no, anche l’uomo.

L’ingresso del Museo lo dedichiamo al nostro bisavolo Antonio Fontanesi, accademico di Torino, nato nel 1818 a (RE) e deceduto nel 1882 a Torino. Gran pittore e sommo Maestro del suo tempo dove tutt’ora tanti musei lo contendono; ultima mostra risale al 2016 a Milano presso le gallerie Maspes in v. Manzoni 45. A questo artista avventuroso e un poco ribelle, il Comune di (RE) gli ha dedicato una grande piazza.

1° sala
La prima sala del Museo è dedicata a Rubens Fontanesi, con una ricerca sulla PUREZZA. L’Arte visiva che prova a farsi linda, chiara e pura, e perché no, speriamo duratura. Perché la purezza parte dall’uovo, quindi dalla nascita, con un po’ di Speranza, deve o dovrebbe inebriare attraverso i suoi colori e profumi più eccelsi, quello che poi nel bene e nel male diverrà. Questo non è soltanto bello, ma… se poi  si sconfina in più generi artistici ormai consacrati, data l’importanza del tema, sarà un male minore, certamente perdonabile.

2° sala
Nella seconda sala viene presentata una ricerca degli anni ‘80 sul “vuoto”.  (…non inteso come sensazione crepuscolare, bensì come il primo dirompente stimolo al filo del sapere. Quel vuoto che non è regola, neppure principio né fine, che non è tutto, ma è in tutto.) Sono stati tanti gli anni che mi hanno impegnato in questa laboriosa ed affascinante sfida nei territori enigmatici di tante astrazioni che mi sfuggivano, o non volevano farsi comprendere.

3° sala
Nella terza sala sono esposte le fotografie di Davide Fontanesi che vogliono essere digitalizzazioni di tante sensibilità. Ottavio Borghi ne illustra l’operato. Davide piega al suo volere tutte le potenzialità del mezzo fotografico con lo scopo di rendere visibili tante altre facce della realtà, quasi volesse trasmettere un messaggio su ipotizzabili sviluppi, sia dal punto di vista estetico che morale, di figure e scene nitidamente visibili nella loro attualità. In questo modo, padroneggiando la fredda tecnologia gli è concesso dare libero sfogo alla sua intelligenza e alla sua creatività ricavandone espressioni suggestive, che allontanandosi dal reale stimolano l’osservatore a ipotizzare immagini e situazioni in continua evoluzione.

4° sala
Nella quarta sala uno scorrere di piccole opere spaziano dal serioso al capriccio, e dall’euforico a quell’invincibile poetare nostalgico che non si può dimenticare. Memorie di un passato superbamente ed intensamente vissuto.  Alla fine del tragitto un divano, perché dopo la rifioritura della pace nello spirito, il riposo del corpo va incontro alla gioiosità.

5° “spazio”
Questo spazio in realtà non c’è!  Esiste solo a dire il vero, grandissimamente ed imperituro in modo virtuale. Un luogo dove ognuno di noi dopo il percorso in questo “Museino” ed affrancati un poco sul divano, ci si ritrova nella dimensione più interessante e gravida di grandezze;  il luogo interiore, ed è l’eccellenza in assoluto: se stessi! Ed è qui nel muto parlar’ con se’ stessi che si cerca di fare i conti (in un terreno mondato da troppe sovra-sottostrutture arzigolate, che distolgono dal nostro puro grande vero) con l’unicità del nostro essere, del nostro sentire: l’immenso. Approfondire queste opere con questo spirito, serve tra l’altro per inoltrarci nel profondo di quelle gioie scintillanti che ci inebriano nel loro mistero pieno di pace che ognuno ha racchiuso in se’. Quest’arte dai petali poetici con le sue melodie un poco fuori dai canoni accademici tradizionali, sussurra e si dibatte con le sue intenzioni e con il linguaggio dei colori,  colori più grandi dei grandi; quelli che da sempre ci portiamo dentro naturalmente, e nessuno mai spegnerà.

 

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